Dolci colline di sangue
 
Non credo che esistano serial killers dall’intelligenza superiore, capaci, per questo, di prendersi gioco della polizia. Per la mia modesta esperienza diretta o indiretta, l’impunità di un criminale violento seriale è frutto soprattutto del caso e dell’incapacità degli inquirenti di turno.
Forse è per questo che non mi hanno mai appassionato le storie di assassini seriali: quelle realistiche le trovo noiose, spesso desolanti, quasi sempre si limitano a raccontare le brutte figure di coloro che avrebbero dovuto fermarli. Quando sono romanzate, l’autore si sforza di descrivere tracce di “intelligenza superiore” nell’assassino, persino nel poliziotto che lo bracca; e a me, che frequento entrambi, per lavoro, sembrano fantascienza. E le storie di fantascienza non mi sono mai piaciute.
Quindi non mi sono mai voluto interessare neppure del “mostro di Firenze”. Non avevo mai letto neppure un rigo di cronaca sul giornale, per ingannare l’attesa durante un appostamento. Ho incominciato a interessarmi all’argomento, quando hanno arrestato il giornalista “mostrologo” Mario Spezi, poiché “a naso” mi sembrava uno dei soliti pasticci all’italiana, fatto di incompetenza, superpoteri e carrierismo, il tutto in totale dispregio del giusto processo e dei diritti dell’indagato.
Dopo qualche articolo di giornale, per chiarirmi definitivamente le idee, ho sentito il bisogno di leggere “Dolci colline di sangue” di Mario Spezi e Douglas Preston (edito da Sonzogno). Ne sono rimasto affascinato. Gli autori raccontano le miserie del crimine violento con realismo e garbo. Parallelamente, analizzano anche le miserie delle indagini con eccezionale capacità di sintesi. Ritengo il libro persino utile per la formazione teorica di un investigatore privato, tanto da consigliarlo, anzi da imporlo ai miei detectives. E lo suggerisco agli appassionati di storie truculente, ma soprattutto ai non appassionati.
Francesco Finanzon