Come difendersi dalle violenze sessuali
 
La violenza sulle donne.

Durante questi mesi estivi la cantante spagnola Bebe ha spopolato in Italia con il suo singolo intitolato “Malo”, una canzone che denuncia le violenze subite dalle donne per mano dei loro stessi compagni. È un brano musicale che mette ansia ad ascoltarlo, anche se viene ballato nelle discoteche e trasmesso dalle emittenti radiofoniche come fosse una canzone divertente e orecchiabile.
Ogni estate porta con sé uno spaventoso aumento delle violenze sulle donne: stuprate da sconosciuti, uccise dai loro compagni, vittime di indicibili violenze in famiglia, come, purtroppo, anche i recenti fatti di cronaca nera hanno confermato. Inizialmente ho pensato che questo triste incremento stagionale fosse solo una necessità giornalistica, visto che spesso i mass-media tendono a privilegiare alcune notizie a scapito di altre, ma poi ho letto su una rivista di criminologia che, a parte un preoccupante aumento storico del fenomeno (in parte dovuto anche a un maggior coraggio nel denunciare i crimini sessuali e familiari), effettivamente il caldo scatena alcuni processi fisiologici e psicologici che acutizzano le reazioni e gli istinti umani, al punto che se le belle stagioni possono portare il risveglio dell\'amore, è anche vero che possono stimolare l\'odio e gli impulsi naturali peggiori.
Da parte mia, mi sono sempre considerata una donna fortunata, cresciuta e coccolata in ambienti familiari a misura di donna, ma anch\'io mi sono trovata ad affrontare il problema della mia “sicurezza personale per strada”. Avendo sempre amato lo sport e praticato un po’ di arti marziali con discreto successo, pensavo di essere al sicuro dalle aggressioni. Ma è stato il mestiere d\'investigatrice privata a farmi scoprire che una donna, per quanto possa essere allenata, raramente può competere con la forza muscolare e la resistenza di un uomo.
A quel punto decisi di frequentare un durissimo corso di autodifesa, durante il quale in gonna e tacchi alti dovevo affrontare, con intelligenza e tecnica più che con la forza, omoni di centocinquantachili di peso. Imparai che l\'unico modo per supplire alle carenze femminili in combattimento era quello di puntare tutto sulla rapidità del colpo portato in punti vitali. In sostanza: più sei debole più devi fare male al tuo avversario, in dispregio del teorico e spesso iniquo concetto giuridico della proporzione tra difesa ed offesa.
Oggi posso affermare che non esiste un corso di autodifesa in grado di mettere al sicuro, al cento per cento, le donne dalle aggressioni maschili. Al limite l\'allenamento, purché costante, può aiutare ad affrontare senza panico i rischi e a reagire prontamente.
Il mio lavoro di investigatrice privata, fin dagli inizi, mi ha imposto delle precauzioni, che andavano ben oltre il combattimento a mani nude e, anche se autorizzata a portare l\'arma per difesa personale, infatti, non potevo naturalmente sparare a vista su chiunque potesse costituire un pericolo.
Ma per le altre donne, che non possedevano la licenza di porto d’armi, i pericoli potevano anche essere maggiori, perché, mentre in tutti i Paesi avanzati del mondo gli spray antiaggressione rappresentavano una soluzione alla disparità fisica tra uomo e donna, e venivano distribuiti liberamente alle rappresentanti del “gentil sesso”, in Italia erano vietati, perché considerati “armi atte ad offendere”.
Dopo molte proteste da parte di associazioni femminili, ma penso soprattutto per interessi commerciali, anche in Italia è stato finalmente permesso, nel 1990, l\'impiego degli spray antiaggressione, ma solo quelli al peperoncino e a basso potenziale offensivo.
Le Autorità preposte oggi si preoccupano che gli spray in commercio non contengano capsicina (l’unico componente infiammante-irritante del peperoncino) in misura superiore al 10 per cento, ma nessuno evita, per il bene delle donne, che gli stessi vengano commercializzati con contenuto di capsicina inferiore all\'8 per cento. Questo perché uno spray antiaggressione con capsicina inferiore a questa percentuale è poco più che un prodotto per aromatizzare il sugo della pasta. Ciò significa che una donna, acquistando uno spray con solo il 3 o 6 per cento di capsicina, potrebbe trovarsi tra le mani un\'arma inutile nel momento del pericolo.
Ritengo che questo ritardo nell\'ammettere gli spray antiaggressioni nel corredo delle borsette delle donne italiane rappresenti una grave mancanza di rispetto nei confronti di tutte le vittime italiane di stupri e violenze.
Persino in Corea è stato ideato uno spray antiaggressione nascosto all’interno di un finto telefono cellulare, per dare alla vittima il vantaggio della sorpresa. Se l’azienda orientale decidesse d’importare la sua interessante idea in Italia, probabilmente si costituirebbe una commissione per stabilire se sia onesto ingannare così biecamente uno stupratore prima di accecarlo temporaneamente col peperoncino.

Lo spray antiaggressione, consigli pratici.

Ritengo che attualmente in Italia lo spray antiaggressione sia il mezzo più efficace per difendersi. Anche se gli spray permessi nel nostro Paese (persino quelli al 10 per cento di capsicina) non sono sempre efficaci specie se l’aggressore si trova sotto l’effetto di droghe o si è già impegnati in una lotta corpo-a-corpo. Scrivo ciò per esperienza personale, visto che ho dovuto prendere a calci e a pugni più di un aggressore, dopo averlo irrorato in abbondanza con spray considerati dalla legge italiana al limite del micidiale.
Tuttavia non è sufficiente acquistare uno spray e dimenticarselo in borsetta, per essere più sicure. Bisogna seguire alcune raccomandazioni. Prima di tutto, acquistate il prodotto solo in armeria, unico posto dove potete ricevere dei consigli pratici sullo spray da scegliere; controllare sempre la scadenza del prodotto, che col tempo perde l’aggressività del suo contenuto, e sostituirlo quando scade; scegliere uno spray dall’utilizzo facile e intuitivo (perché quando si è aggredite non si ha tempo di spostare linguette e scoperchiare pulsanti); insieme allo spray antiaggressione acquistate il suo “gemello inerte”, per fare dell’esercizio in bianco, in quanto fare delle prove preliminari è, a dir poco, indispensabile, per imparare ad utilizzarlo; lo spray, come tutte le armi da difesa, deve essere tenuto indosso e non in borsetta, visto che è la prima cosa che si perde durante una qualsiasi situazione d’emergenza; Inoltre, non bisogna aspettarsi che l’avversario stramazzi a terra, non appena investito dalla nube irritante. Dopo averlo spruzzato, si deve sempre cercare una via di fuga e chiedere immediatamente aiuto. Se non potete fuggire, approfittatene per colpirlo duramente.

Dissuasore elettrico e Taser.

Un altro capitolo a dir poco “tragicomico”, per le donne e la civiltà del diritto in Italia, è quello che riguarda l\'arma a pile chiamata “dissuasore elettrico”.
Il prodotto è geniale, visto che si tratta di un oggetto di plastica delle dimensioni di un grosso cellulare, che, schiacciando un pulsante, emette delle rumorose e vistose scariche elettriche a 200.000 volts, in grado di mettere in fuga qualsiasi tipo di aggressore, perfino quelli più resistenti ai colpi e allo spray, come confermato dalle statistiche, le quali ci dicono che nell\'80 per cento dei casi, i malintenzionati, di fronte al “dissuasore elettrico” se la danno a gambe.
In Italia, mentre questi “dissuasori” venivano regolarmente usati da rapinatori e stupratori, non potevano essere impiegati, invece, dalle loro vittime.
Ultimamente, poi, una sentenza di Cassazione ha stabilito che il “dissuasore elettrico” può essere tenuto solo in casa e usato solamente entro le mura domestiche per difesa abitativa. Come a dire che se una donna vuol sentirsi sicura, deve starsene a casa!
Dopo il “dissuasore elettrico” è stata la volta del Taser, un’arma ancora più efficace. Agli inizi degli anni Settanta, John Cover pensò ad un modo di eliminare il rischio del contatto fisico, cui si sottoponevano gli agenti di polizia durante gli arresti di soggetti particolarmente pericolosi. Inventò una pistola, che lanciava, sino a una distanza di circa sei-dieci metri, due poli elettrificati in grado di procurare scariche invalidanti di circa 50.000 volt. Chiamò l’arma “Taser”, acronimo di “Thomas A. Swift’s Eletronic Rifle”, ossia “Arma elettronica di Thomas A. Swift”, dal nome di un famoso eroe di un fumetto dell’epoca.
A tutt\'oggi, il Taser ha riscosso un grosso successo in quasi tutte le polizie del mondo, avendo ridotto del 70 per cento il numero degli agenti feriti o uccisi durante gli arresti di energumeni. Per non parlare dell’utilità di quest’arma in situazioni in cui l’impiego di armi da fuoco sarebbe eccessivo (come con un ubriaco che ha perso la testa o uno squilibrato in crisi furiosa), pericoloso (per esempio, in depositi di materiale infiammabile e su aerei in volo) o controproducente (nella cattura di criminali vivi per essere interrogati).
In Italia, invece, è considerata un’arma impropria e nessuno si sogna di rendere più sicura la vita delle nostre Forze dell’Ordine, inserendola come dotazione di ciascun agente. Figuriamoci concedere il Taser a donne particolarmente esposte a rischi di aggressione!

L’inutile tagliola antistupro.

In Sud Africa, patria degli stupri individuali e di massa, Sonette Ehlers ha inventato il Rapex, una sorta di trappola antistupro da indossare come un assorbente interno. Lo stupratore, penetrando la sua vittima, infila il membro in un cilindro uncinato dolorosissimo e rimovibile solo chirurgicamente.
Le perplessità, però, per chi ha dovuto assistere vittime di stupro o indagare su questo immondo crimine, sono molte. Innanzitutto l’oggetto non mette al riparo dal trauma dell’aggressione, unica vera fonte delle disastrose conseguenze del crimine. In secondo luogo costringe la donna o la ragazzina, magari ancora vergine, a “indossare” la scomoda protezione con molto disagio. In terzo luogo non invalida sempre a sufficienza l’aggressore, che si rivolterebbe come una belva ferita contro la sua vittima (magari aiutato dai suoi compagni di stupro). In ultima analisi, Sonette Ehlers, evidentemente, non sa che lo stupro è un crimine molto più orribilmente complesso di una semplice penetrazione vaginale.
L’attrezzo è una rappresaglia contro lo stupratore più che una protezione a tutela della vittima. La sua invenzione, al limite, potrebbe essere considerata alla stregua di un antifurto, visto che considera la donna come una cosa da non toccare, più che un universo di sentimenti ed equilibri da salvaguardare.

La geniale giacca antistupro.

Un gruppo di tecnici dei laboratori del Massachusetts Institute (tra cui l’Ingegner Wired Adam Whiton) ha ideato la “no-contact jacket” o “armatura esoelettrica” o “giacca antistupro”. Si tratta di un giubbino nero di nylon impermeabile, piuttosto aderente, persino grazioso da indossare (visto che assomiglia a certe giacche da motociclisti). Questo capo, disegnato dalla stilista Yolita Nugent, scarica a comando 80.000 volt contro un eventuale aggressore che cerca di afferrare la vittima.
L’idea in questione mi sembra geniale: elimina qualsiasi problema di panico, permette di difendersi anche se non si è allenate fisicamente ed è indicato a quelle donne che hanno scarsa attitudine nel maneggiare spray o armi di qualsiasi tipo. Basta schiacciare un bottone e ci si trasforma in un fulmine vendicatore di Giove. Si diventa intoccabili.
La giacca antistupro all’interno ha una fodera isolante, mentre all’esterno è costruita da Aracon, una fibra conduttrice di elettricità. Questo capo antistupro è alimentato da una pila a nove volt e ha due interruttori: uno funge da sicura e l’altro scarica l’alta tensione.
Nonostante ciò, qualcuno ha già sollevato delle perplessità sul fatto che questo giubbotto possa essere usato per scopi criminali e, come al solito, pochissimi si sono chiesti invece quando questa geniale invenzione sarà messa a disposizione delle donne indifese.

Come fronteggiare l’emergenza.

Ogni volta che assistiamo a una stagione di lacrime e sangue per le donne, ci si dilunga in inutili considerazioni sul controllo del territorio e oziose disquisizioni sulla severità delle pene. La verità è che la Legge in quasi tutti i paesi del mondo, garantisce più la sicurezza del patrimonio che quella delle persone. Oggigiorno un “onesto” rapinatore di banche rischia molti più anni di galera di uno stupratore assassino.
Ritengo che la donna, per salvaguardare se stessa, debba soprattutto arrangiarsi da sola, praticando una costante e attenta prevenzione. Ecco alcuni consigli: esercitate il vostro sesto senso e dategli ascolto; ricordate che la maggior parte degli stupri è commessa da parte di conoscenti; generalmente lo stupratore è seriale, ciò ripete il crimine, quindi informatevi su chiunque prima di fidarvi. I segnali di un potenziale stupratore sono: atti gratuiti di violenza, inadeguatezza sociale, insicurezza, ricerca del controllo e della rivalutazione, incapacità di relazionarsi con le donne, manie di persecuzione, maltrattamenti familiari subiti nell’infanzia, abuso d’alcol e di droga. Così prima di frequentare qualcuno, cercate di conoscere la sua famiglia e il maggior numero possibile di suoi amici. Non fidatevi di offerte o richieste di aiuto, che vi espongano all’aggressione, anche se estremamente gentili; ricordate che la maggior parte dei criminali violenti ha l’aspetto di bravi ragazzi. Lo stupratore è un predatore e quindi opportunista. Prima di aggredirvi, vi osserva e valuta come preda facile. Evitate di girare troppo svestite, fate che nessuno vi possa spiare in casa, abituatevi a guardarvi attorno con attenzione. Se qualcuno vi segue non illudetevi di scoraggiarlo ignorandolo; identificatelo o fatelo identificare dalla polizia, fornendo, al tempo stesso, il minor numero possibile d’informazioni che vi riguardano (come la targa della vostra auto, l’indirizzo d’abitazione, ecc…). Se uscite alla sera con amici, fatevi venire a prendere e accompagnare sino al pianerottolo di casa. Quando state entrando in un ascensore o salite sulla vostra auto, ricordate che sono i due momenti statisticamente considerati più a rischio di aggressioni. Chiudetevi sempre in auto con il blocco di sicurezza e cercate di posteggiare in zone illuminate e frequentate.

Quando la situazione precipita e non riuscite a prevenire l’aggressione, c’è spesso ancora un ristretto spazio di manovra: prima di subire l’aggressione può essere utile fingere di gradire l’approccio, per prendere tempo e organizzare la propria reazione; è sempre valido il trucco di simulare un attacco epilettico o di cuore o un altro malore; potrebbe essere utile fingere di avere delle malattie infettive, o d’essere in stato interessante.

Dopo la violenza.

Dopo aver subito una violenza è importante non rimanere isolate, rivolgetevi a persone qualificate, che siano in grado di aiutarvi a gestire la vostra situazione personale e a presentare la denuncia. Nel fare ciò ricordate: la prima insidia viene da voi stesse, che vi sentirete in colpa per ciò che avete subito; non illudetevi di poter dimenticare la violenza e tornare come prima, limitandovi a non parlarne con nessuno; non appena subita la violenza andate subito alla polizia e in ospedale, anche se avete un forte desiderio di cambiarvi d’abito e farvi una doccia (perdereste le prove della violenza subita); se capitate in una struttura sanitaria o in ufficio investigativo, che non vi dà sufficiente assistenza, è un vostro diritto rivolgervi altrove e denunciare l’inefficienza; ricordatevi che spesso l’esito delle indagini dipende da voi e che purtroppo il peso del processo è sempre solo sulle vostre spalle.