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Da uno dei nostri casi all’analisi della legge anti-stalker.

come affrontare lo stolker

Una notte di qualche anno fa una nostra cliente ci telefonò terrorizzata. Dopo la loro separazione l’ex-marito non aveva mai smesso di perseguitarla e quella notte l’aspettata fuori di casa da molte ore. La povera donna dapprima aveva temporeggiato chiusa nella sua abitazione, sperando che si stancasse, ma lui le aveva rotto il citofono e divelto la cassetta postale. Poi si era decisa a chiamare le Forze dell’Ordine, che avevano promesso l’intervento della pattuglia non appena se ne fosse liberata una. Infine, verso le tre del mattino ci chiese aiuto.
Arrivammo sul posto mentre il persecutore (o se preferite lo stalker) dormiva come un angioletto nella sua auto davanti all’abitazione dell’ex-moglie. Senza svegliarlo ritelefonammo al numero delle emergenza e, insistendo, ottenemmo finalmente in po’ di considerazione; s’erano fatte oramai le quattro del mattino, quando arrivò una pattuglia. L’uomo fu svegliato e andò su tutte le furie. Ovviamente, il “cuor di leone” non si scagliò contro gli agenti intervenuti, ma insultò e minacciò di morte la sua ex-moglie e noi detectives. Tutti ci saremmo aspettati l’arresto dell’energumeno, come avrebbe previsto la legge, e un processo con la testimonianza dei pubblici ufficiali presenti. Con un po’ di buona volontà gli articoli del codice penale non mancavano: molestia, violenza privata, minaccia grave, danneggiamento; ma i tutori dell’ordine, al contrario, ignorarono i reati di cui erano stati testimoni, rabbonirono lo stalker e lo convinsero ad allontanarsi indenne dalla “scena del crimine”. Quando fummo soli capimmo il perché di tanta indulgenza: gli agenti stavano per terminare il loro turno di lavoro e l’arresto dell’uomo avrebbe comportato straordinari non graditi. All’agente di pattuglia più giovane e semplicione sfuggì persino un’infelice battuta davanti alla vittima: “se proprio deve tornare speriamo che lo faccia dopo che noi siamo smontati dal turno”.
Il recente decreto sulla sicurezza introduce il reato di stalking, prevedendo pene più severe per i persecutori, ma queste sono solo l’ultimo aspetto del problema. Prima dell’arresto ci dovrebbe essere un’efficace attività di prevenzione contro i persecutori e di sostegno a favore delle vittime. Dal punto di vista di queste ultime non conta tanto la pena prevista dalla Legge, ma la sua capacità di proteggerle. Sapere che lo stalker omicida rischia l’ergastolo non aiuta la vittima a evitare le molestie o a nascondersi dal suo assassino.
In tutti questi anni ante legge anti stalker, abbiamo potuto verificare che le Autorità possono proteggere una donna perseguitata, ma sono necessarie profonda conoscenza del fenomeno, buona volontà e voglia di lavorare. Nella maggior parte dei casi non si procede all’arresto quando non è obbligatorio, ma non obbligatorio non significa non previsto. L’intervento a seguito di richiesta d’aiuto è spesso tardivo, quando l’energumeno si è calmato o ha già ucciso. Nessuno sembra comprendere veramente che lo stolker è uno psicopatico: capace di farsi benvolere, ma potenziale assassino. La percezione della realtà di questi squilibrati e lontana da quella di qualsiasi bravo cittadino ligio alla legge: diffide o minacce di carcerazione scatenano la loro ira anziché fermarli.
Una seria legge antistalker, dunque, avrebbe dovuto prevedere programmi di protezione e sostegni economici per le vittime, nonché bracciali elettronici antisconfinamento, elenchi pubblicati e certezza delle pene per gli aguzzini.
Le donne perseguitate, oggi come ieri, devono arrangiarsi per conto loro, seguendo le tre principali regole del fai da te in questo campo:
- gli stalker aumentano la loro aggressivitĂ  a seguito di diffide o arresti;
- prima di prendere qualsiasi iniziativa contro il persecutore, organizzare la propria sicurezza;
- meglio nessuna iniziativa che un’iniziativa sbagliata, utile solo a rendere furioso il criminale e a dargli la sensazione di essere intoccabile.

Pubblicato in data: 26 Apr 2009

 

 

 


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