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La leggenda metropolitana che tra i detenuti esista un codice etico e le recenti rivolte carcerarie scatenate con la scusa del coronavirus.

Molti anni fa un cliente della mia agenzia investigativa mi incaricò di cercare un sex-offender che gli aveva stuprato la figlia e poi si era dileguato all’estero.
Lo rintracciai, ma era in carcere; già giudicato per un altro crimine su suolo straniero e condannato a scontare una pena piuttosto lunga. Il cliente dell’agenzia investigativa capì che sarebbe stato molto complicato ottenere l’estradizione a fine pena estera, per fargli scontare il fio del suo crimine anche in patria e mi confidò che si consolava pensando che, forse, sarebbe intervenuta la “giustizia carceraria†e si augurò finisse accoltellato nelle docce. Tuttavia la giustizia carceraria e il codice d’onore tra detenuti sono leggende metropolitane; tra i criminali l’onore scarseggia, altrimenti non sarebbero tali.
I delinquenti, come spesso sono costretto a spiegare ai clienti della mia agenzia investigativa minacciati o ricattati da qualcuno di essi, non reagiscono come le brave persone in termini di affetti, di rapporti sociali e lavorativi; il loro approccio è piuttosto egoistico e predatorio.
Se un detenuto decide di accoltellare qualcuno nelle docce lo fa per le sigarette, per uno sgarbo subito, per il posto letto in cella o per un vecchio conto in sospeso, non certamente per punire il crimine commesso dal suo compagno di detenzione perché considerato particolarmente abbietto.
Come scrisse nel 2009 la mia socia Enrica Ceruti dell’agenzia investigativa Cyanea nel suo ottimo libro ‘Padri Oltraggiati’, quando ci occupammo del caso della scomparsa dei fratellini Pappalardi Ciccio e Tore venne coinvolto nelle indagini un tizio che stava scontando in carcere una pena per stupro della propria figliastra. In cella con lui c’erano altri tre detenuti: un altro stupratore di bambine, un truffatore e un rapinatore. Questi ultimi due non si erano mai posti il problema di ergersi a giustizieri delle bimbe stuprate e così tanto meno gli altri detenuti in tutto il carcere; solamente in un’occasione il rapinatore avevo minacciato di morte i due stupratori perché occupavano l’angolo bagno della cella per poter leggere la loro corrispondenza.
Le 40 e più rivolte verificatesi nelle carceri di tutt’Italia, mascherate con l’emergenza coronavirus, non hanno nulla a che fare con le preoccupazioni di tutti gli italiani. Dal carcere di Sant’Anna di Modena a quello di Marino del Tronto, dal carcere di Regina Coeli a quello di Foggia le rivolte sono servite a saccheggiare le infermerie, a regolare qualche conto in sospeso tra criminali e a evadere.
Purtroppo i nostri politici, anziché rendere altamente sconsigliabile qualsiasi strumentalizzazione del coronavirus da parte dei delinquenti e preoccuparsi delle reali difficoltà delle Guardie Carcerarie in prima linea, cercano il solito accordo, ignorando con chi hanno a che fare.

Pubblicato in data: 10 Mar 2020

 

 

 


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